SAN FRANCESCO DA SALES A due anni dalla sua elezione, il vescovo di Alba, Marco Brunetti, incontra i giornalisti e gli operatori della comunicazione in occasione della pubblicazione del Messaggio del Papa per la Giornata delle comunicazioni sociali che si celebrerà quest’anno il 13 maggio, sul tema “La verità vi farà liberi (Gv 8,23). Notizie false e giornalismo di pace”.
Nel pomeriggio di mercoledì 24 gennaio, nella sala Don Alberione di piazza San Paolo 14, Brunetti oltre a invitare gli operatori della comunicazione a svolgere il loro lavoro con professionalità e aderenza alla verità, in un’ottica di pace, è intervenuto anche sui temi più scottanti che riguardano il territorio e la società civile: ludopatie, tossicodipendenze, testamento biologico, lavoro, accoglienza degli immigrati. E ha annunciato le diverse iniziative culturali e solidali in atto nella Chiesa locale: dal ricordo di don Natale Bussi alle celebrazioni per San Giovanni Paolo II, dall’attività dell’Emporio solidale al sostegno delle missioni in Kenia e al nuovo assetto diocesano.
Il testo integrale dell’intervento del Vescovo Brunetti
L’ occasione per ritrovarsi è dettata dalla pubblicazione del messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che si celebrerà il prossimo 13 maggio dal tema: «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32). Notizie false e giornalismo di pace.”
Oggi è anche la memoria di S. Francesco di Sales, patrono dei giornalisti che invochiamo come intercessore per un servizio importante alla verità al quale possiamo associare il nostro Beato Giacomo Alberione che ha proprio nella comunicazione individuato il carisma della sua famiglia paolina.
La verità nel campo delle comunicazioni credo sia un tema fondamentale, bombardati da mille messaggi diventa difficile districarsi in una giungla di parole, immagini e video. Sono certo che una sana deontologia professionale stia alla base di questo mestiere così importante. Troppe notizie rimbalzano in tempo reale per cui la verifica diventa quasi impossibile, correndo il rischio che quando una notizia falsa venga smascherata sia già troppo tardi per rimediare i danni fatti alle persone o alle istituzioni che rappresentano.
Dire la verità è un pilastro etico ineludibile da parte di tutti gli operatori della comunicazione e qualora venisse tradita è giusto ricorrere a mezzi legislativi che facciano giustizia e rimedino ai danni commessi.
A maggior ragione penso questo discorso valga per la stampa cattolica.
In questo anno, da poco iniziato, celebrerò due anni dalla mia presenza come Vescovo di questa Chiesa che ho avuto modo di conoscere in tutti i suoi aspetti pastorali e territoriali. Confermo il mio apprezzamento per una Diocesi vivace e ricca di storia con un laicato preparato e sacerdoti e diaconi impegnati in tante parrocchie sparse sul nostro bellissimo territorio.
In questi due anni abbiamo cercato con il Consiglio Presbiterale e Pastorale diocesano di rilanciare le Unità Pastorali, intese come comunità di comunità, in un nuovo assetto diocesano che prevede otto vicarie e ventisette unità pastorali.
Nel prossimo futuro ci concentreremo sulla formazione del laici per una loro maggiore responsabilizzazione e l’individuazione di nuovi ministeri laicali proseguendo il cammino iniziato esattamente venti anni fa con la celebrazione del Sinodo Diocesano.
Vorrei esprimere alcuni pensieri rispetto alcune problematiche legate al nostro tempo e territorio.
Non possiamo abbassare la guardia sulla piaga sociale del gioco d’azzardo a cui dobbiamo dare una risposta concreta mettendo in rete tutte le realtà esistenti in ambito sociale e sanitario. I numeri che abbiamo letto su Gazzetta d’Alba di questa settimana sono drammatici: 3054 euro spesi pro capite dagli albesi per il gioco a fronte dei 1.176 euro della media provinciale. Spero che il Comune faccia ancora di più rispetto a quello che ha già fatto, approfittando anche della legge regionale per limitare il più possibile il danno. Legato a questo temo c’è quello dello sballo e della dipendenza da sostanze che pare essere molto presente sul nostro territorio. Non credo che la legalizzazione sia la soluzione migliore ma una rete di agenzie educative che sappiano dare senso alla vita dei nostri giovani, le scorciatoie legislative non aiutano a risolvere certi problemi sociali e sanitari.
L’ accoglienza dei migranti e dei rifugiati rimane una priorità, pertanto lo sforzo dell’ ufficio migrantes e Caritas va sostenuto, senza dimenticare coloro che non avendo ottenuto il permesso di soggiorno vagano per le nostre città senza sapere dove andare e come fare. Collegato a questo esprimo il mio rammarico per non essere riusciti ad approvare lo ius soli che avrebbe dato la cittadinanza italiana a tanti ragazzi che sono nati e cresciuti in Italia.
Il lavoro è ancora un problema, nonostante alcuni segnali di ripresa, sui quali non possiamo farci ingannare, troppo precariato e troppe assunzioni per pochi giorni o settimane. A questo proposito voglio annunciare che la Diocesi ha dato avvio al progetto Policoro, cofinanziato dalla CEI, che vede la costituzione di una equipe di tre uffici pastorali: giovani, caritas e lavoro che dovrà individuare dei progetti per avviare dei giovani al lavoro.
Anche l’emporio Madre Teresa ha preso il suo avvio grazie alla collaborazione di tanti: ecco alcuni dati relativi ai primi due mesi di attività:
280 tessere consegnate, 871 utenti serviti e 10650 punti mensili. Sono certo che la solidarietà fin qui espressa continuerà grazie alla collaborazione di tutti
Un’ ultima questione che mi sta particolarmente a cuore è la recente legge sui DAT.
Si tratta di una questione molto delicata che richiede un approfondimento etico e clinico. Ribadisco che la Chiesa dice no all’accanimento terapeutico e prevede la gradualità della cura.
Ciò che lascia insoddisfatti della nuova legge è la mancanza della possibilità dell’obiezione di coscienza, ledendo un diritto costituzionale, sia per gli operatori sanitari sia per le strutture sanitarie cattoliche. Così come lascia insoddisfatti l’aver cancellato il rapporto medico-paziente, lasciando al solo paziente ogni decisione di trattamento, venendo meno una vera alleanza terapeutica.
Insoddisfacente è anche l’aver stabilito per legge che la nutrizione e l’idratazione siano sempre da considerare una terapia clinica e non un sostegno vitale non rispecchiando così la verità di tanti pazienti che ancora ricevono il cibo e l’acqua. Attenti a fare della “qualità della vita” l’unico criterio per curare e prendersi in carico le persone. Su questi aspetti dovremo compiere uno sforzo educativo e informativo affinché la vita sia sempre promossa e difesa.
Alcune notizie di vita diocesana: domani con la giornata del Seminario inizieremo a fare memoria di don Natale Bussi, filosofo e teologo, scomparso il 14 marzo di trent’anni fa, che ha segnato con il suo insegnamento e il suo esempio non solo la nostra Diocesi ma tutta l’Italia e la Chiesa intera. A lui domani sarà dedicato un salone del Seminario e presto sarà rieditato il suo testo principale: Il Mistero Cristiano.
A febbraio mi recherò in Kenia nella missione di Marsabit dove i nostri missionari a partire da don Venturino, don Tablino, don Molino, recentemente scomparso, e tanti altri hanno operato come veri missionari inviati dalla Chiesa Albese.
Attualmente è presente una missionaria laica Patrizia che continua l’opera dei nostri missionari in collaborazione con la Chiesa locale. È mia intenzione verificare se ci sono le condizioni per intensificare la nostra presenza in quella missione con eventualmente l’invio di qualche altro laico ed un sacerdote. Il viaggio sarà dal 19 al 27 febbraio e mi accompagneranno don Gino Chiesa direttore del Centro Missionario e don Andrea Chiesa direttore dell’ufficio pastorale giovanile e vocazionale.
L’ ultima cosa riguarda alcune iniziative in riferimento al quarantesimo anniversario dell’elezione a Pontefice di San Giovanni Paolo II il prossimo 16 ottobre.
Come sapete è stato costituito un comitato, cominceremo con un pellegrinaggio diocesano in Polonia dal 18 al 23 giugno, e un convegno e un concerto dopo l’estate e l’intestazione a S. Giovanni Paolo II della piazzetta di fronte alla chiesa di San Giuseppe e l’affissione di un medaglione con il volto del Papa in bronzo.Questo è quanto pensavo di dirvi, altre notizie saranno date al momento opportuno.
Colgo l’occasione per ringraziare don Truglia per il suo servizio Diocesano di direttore dell’ufficio comunicazioni sociali e del sito Web della Diocesi insieme ai suoi collaboratori.ù
Ringrazio anche Gazzetta d’Alba per la puntuale informazione a servizio del nostro territorio e della nostra Diocesi. E grazie a tutti voi per il vostro prezioso compito di servire la verità.
+Marco, Vescovo
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA 52ma GIORNATA MONDIALE
DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI
« La verità vi farà liberi (Gv 8,32).
Fake news e giornalismo di pace»
Cari fratelli e sorelle,
nel progetto di Dio, la comunicazione umana è una modalità essenziale per vivere la comunione. L’essere umano, immagine e somiglianza del Creatore, è capace di esprimere e condividere il vero, il buono, il bello. E’ capace di raccontare la propria esperienza e il mondo, e di costruire così la memoria e la comprensione degli eventi. Ma l’uomo, se segue il proprio orgoglioso egoismo, può fare un uso distorto anche della facoltà di comunicare, come mostrano fin dall’inizio gli episodi biblici di Caino e Abele e della Torre di Babele (cfr Gen 4,1-16; 11,1-9). L’alterazione della verità è il sintomo tipico di tale distorsione, sia sul piano individuale che su quello collettivo. Al contrario, nella fedeltà alla logica di Dio la comunicazione diventa luogo per esprimere la propria responsabilità nella ricerca della verità e nella costruzione del bene. Oggi, in un contesto di comunicazione sempre più veloce e all’interno di un sistema digitale, assistiamo al fenomeno delle “notizie false”, le cosiddette fake news: esso ci invita a riflettere e mi ha suggerito di dedicare questo messaggio al tema della verità, come già hanno fatto più volte i miei predecessori a partire da Paolo VI (cfr Messaggio 1972: Le comunicazioni sociali al servizio della verità). Vorrei così offrire un contributo al comune impegno per prevenire la diffusione delle notizie false e per riscoprire il valore della professione giornalistica e la responsabilità personale di ciascuno nella comunicazione della verità.
1. Che cosa c’è di falso nelle “notizie false”?
Fake news è un termine discusso e oggetto di dibattito. Generalmente riguarda la disinformazione diffusa online o nei mediatradizionali. Con questa espressione ci si riferisce dunque a informazioni infondate, basate su dati inesistenti o distorti e mirate a ingannare e persino a manipolare il lettore. La loro diffusione può rispondere a obiettivi voluti, influenzare le scelte politiche e favorire ricavi economici.
L’efficacia delle fake news è dovuta in primo luogo alla loro natura mimetica, cioè alla capacità di apparire plausibili. In secondo luogo, queste notizie, false ma verosimili, sono capziose, nel senso che sono abili a catturare l’attenzione dei destinatari, facendo leva su stereotipi e pregiudizi diffusi all’interno di un tessuto sociale, sfruttando emozioni facili e immediate da suscitare, quali l’ansia, il disprezzo, la rabbia e la frustrazione. La loro diffusione può contare su un uso manipolatorio dei social network e delle logiche che ne garantiscono il funzionamento: in questo modo i contenuti, pur privi di fondamento, guadagnano una tale visibilità che persino le smentite autorevoli difficilmente riescono ad arginarne i danni.
La difficoltà a svelare e a sradicare le fake news è dovuta anche al fatto che le persone interagiscono spesso all’interno di ambienti digitali omogenei e impermeabili a prospettive e opinioni divergenti. L’esito di questa logica della disinformazione è che, anziché avere un sano confronto con altre fonti di informazione, la qual cosa potrebbe mettere positivamente in discussione i pregiudizi e aprire a un dialogo costruttivo, si rischia di diventare involontari attori nel diffondere opinioni faziose e infondate. Il dramma della disinformazione è lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti. Le notizie false rivelano così la presenza di atteggiamenti al tempo stesso intolleranti e ipersensibili, con il solo esito che l’arroganza e l’odio rischiano di dilagare. A ciò conduce, in ultima analisi, la falsità.
2. Come possiamo riconoscerle?
Nessuno di noi può esonerarsi dalla responsabilità di contrastare queste falsità. Non è impresa facile, perché la disinformazione si basa spesso su discorsi variegati, volutamente evasivi e sottilmente ingannevoli, e si avvale talvolta di meccanismi raffinati. Sono perciò lodevoli le iniziative educative che permettono di apprendere come leggere e valutare il contesto comunicativo, insegnando a non essere divulgatori inconsapevoli di disinformazione, ma attori del suo svelamento. Sono altrettanto lodevoli le iniziative istituzionali e giuridiche impegnate nel definire normative volte ad arginare il fenomeno, come anche quelle, intraprese dalle tech emedia company, atte a definire nuovi criteri per la verifica delle identità personali che si nascondono dietro ai milioni di profili digitali.
Ma la prevenzione e l’identificazione dei meccanismi della disinformazione richiedono anche un profondo e attento discernimento. Da smascherare c’è infatti quella che si potrebbe definire come “logica del serpente”, capace ovunque di camuffarsi e di mordere. Si tratta della strategia utilizzata dal «serpente astuto», di cui parla il Libro della Genesi, il quale, ai primordi dell’umanità, si rese artefice della prima “fake news” (cfr Gen 3,1-15), che portò alle tragiche conseguenze del peccato, concretizzatesi poi nel primo fratricidio (cfr Gen 4) e in altre innumerevoli forme di male contro Dio, il prossimo, la società e il creato. La strategia di questo abile «padre della menzogna» (Gv 8,44) è proprio la mimesi, una strisciante e pericolosa seduzione che si fa strada nel cuore dell’uomo con argomentazioni false e allettanti. Nel racconto del peccato originale il tentatore, infatti, si avvicina alla donna facendo finta di esserle amico, di interessarsi al suo bene, e inizia il discorso con un’affermazione vera ma solo in parte: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino?”» (Gen 3,1). Ciò che Dio aveva detto ad Adamo non era in realtà di non mangiare di alcun albero, ma solo di un albero: «Dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare» (Gen 2,17). La donna, rispondendo, lo spiega al serpente, ma si fa attrarre dalla sua provocazione: «Del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”» (Gen 3,2). Questa risposta sa di legalistico e di pessimistico: avendo dato credibilità al falsario, lasciandosi attirare dalla sua impostazione dei fatti, la donna si fa sviare. Così, dapprima presta attenzione alla sua rassicurazione: «Non morirete affatto» (v. 4). Poi la decostruzione del tentatore assume una parvenza credibile : «Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male» (v. 5). Infine, si giunge a screditare la raccomandazione paterna di Dio, che era volta al bene, per seguire l’allettamento seducente del nemico: «La donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile» (v. 6). Questo episodio biblico rivela dunque un fatto essenziale per il nostro discorso: nessuna disinformazione è innocua; anzi, fidarsi di ciò che è falso, produce conseguenze nefaste. Anche una distorsione della verità in apparenza lieve può avere effetti pericolosi.
In gioco, infatti, c’è la nostra bramosia. Le fake news diventano spesso virali, ovvero si diffondono in modo veloce e difficilmente arginabile, non a causa della logica di condivisione che caratterizza i social media, quanto piuttosto per la loro presa sulla bramosia insaziabile che facilmente si accende nell’essere umano. Le stesse motivazioni economiche e opportunistiche della disinformazione hanno la loro radice nella sete di potere, avere e godere, che in ultima analisi ci rende vittime di un imbroglio molto più tragico di ogni sua singola manifestazione: quello del male, che si muove di falsità in falsità per rubarci la libertà del cuore. Ecco perché educare alla verità significa educare a discernere, a valutare e ponderare i desideri e le inclinazioni che si muovono dentro di noi, per non trovarci privi di bene “abboccando” ad ogni tentazione.
3. «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32)
La continua contaminazione con un linguaggio ingannevole finisce infatti per offuscare l’interiorità della persona. Dostoevskij scrisse qualcosa di notevole in tal senso: «Chi mente a sé stesso e ascolta le proprie menzogne arriva al punto di non poter più distinguere la verità, né dentro di sé, né intorno a sé, e così comincia a non avere più stima né di sé stesso, né degli altri. Poi, siccome non ha più stima di nessuno, cessa anche di amare, e allora, in mancanza di amore, per sentirsi occupato e per distrarsi si abbandona alle passioni e ai piaceri volgari, e per colpa dei suoi vizi diventa come una bestia; e tutto questo deriva dal continuo mentire, agli altri e a sé stesso» (I fratelli Karamazov, II, 2).
Come dunque difenderci? Il più radicale antidoto al virus della falsità è lasciarsi purificare dalla verità. Nella visione cristiana la verità non è solo una realtà concettuale, che riguarda il giudizio sulle cose, definendole vere o false. La verità non è soltanto il portare alla luce cose oscure, “svelare la realtà”, come l’antico termine greco che la designa, aletheia (da a-lethès, “non nascosto”), porta a pensare. La verità ha a che fare con la vita intera. Nella Bibbia, porta con sé i significati di sostegno, solidità, fiducia, come dà a intendere la radice ‘aman, dalla quale proviene anche l’Amen liturgico. La verità è ciò su cui ci si può appoggiare per non cadere. In questo senso relazionale, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia, sul quale si può contare, ossia “vero”, è il Dio vivente. Ecco l’affermazione di Gesù: «Io sono la verità» (Gv 14,6). L’uomo, allora, scopre e riscopre la verità quando la sperimenta in sé stesso come fedeltà e affidabilità di chi lo ama. Solo questo libera l’uomo: «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32).
Liberazione dalla falsità e ricerca della relazione: ecco i due ingredienti che non possono mancare perché le nostre parole e i nostri gesti siano veri, autentici, affidabili. Per discernere la verità occorre vagliare ciò che asseconda la comunione e promuove il bene e ciò che, al contrario, tende a isolare, dividere e contrapporre. La verità, dunque, non si guadagna veramente quando è imposta come qualcosa di estrinseco e impersonale; sgorga invece da relazioni libere tra le persone, nell’ascolto reciproco. Inoltre, non si smette mai di ricercare la verità, perché qualcosa di falso può sempre insinuarsi, anche nel dire cose vere. Un’argomentazione impeccabile può infatti poggiare su fatti innegabili, ma se è utilizzata per ferire l’altro e per screditarlo agli occhi degli altri, per quanto giusta appaia, non è abitata dalla verità. Dai frutti possiamo distinguere la verità degli enunciati: se suscitano polemica, fomentano divisioni, infondono rassegnazione o se, invece, conducono ad una riflessione consapevole e matura, al dialogo costruttivo, a un’operosità proficua.
4. La pace è la vera notizia
Il miglior antidoto contro le falsità non sono le strategie, ma le persone: persone che, libere dalla bramosia, sono pronte all’ascolto e attraverso la fatica di un dialogo sincero lasciano emergere la verità; persone che, attratte dal bene, si responsabilizzano nell’uso del linguaggio. Se la via d’uscita dal dilagare della disinformazione è la responsabilità, particolarmente coinvolto è chi per ufficio è tenuto ad essere responsabile nell’informare, ovvero il giornalista, custode delle notizie. Egli, nel mondo contemporaneo, non svolge solo un mestiere, ma una vera e propria missione. Ha il compito, nella frenesia delle notizie e nel vortice degli scoop, di ricordare che al centro della notizia non ci sono la velocità nel darla e l’impatto sull’audience, ma le persone. Informare è formare, è avere a che fare con la vita delle persone. Per questo l’accuratezza delle fonti e la custodia della comunicazione sono veri e propri processi di sviluppo del bene, che generano fiducia e aprono vie di comunione e di pace.
Desidero perciò rivolgere un invito a promuovere un giornalismo di pace, non intendendo con questa espressione un giornalismo “buonista”, che neghi l’esistenza di problemi gravi e assuma toni sdolcinati. Intendo, al contrario, un giornalismo senza infingimenti, ostile alle falsità, a slogan ad effetto e a dichiarazioni roboanti; un giornalismo fatto da persone per le persone, e che si comprende come servizio a tutte le persone, specialmente a quelle – sono al mondo la maggioranza – che non hanno voce; un giornalismo che non bruci le notizie, ma che si impegni nella ricerca delle cause reali dei conflitti, per favorirne la comprensione dalle radici e il superamento attraverso l’avviamento di processi virtuosi; un giornalismo impegnato a indicare soluzioni alternative alle escalationdel clamore e della violenza verbale.
Per questo, ispirandoci a una preghiera francescana, potremmo così rivolgerci alla Verità in persona:
Signore, fa’ di noi strumenti della tua pace.
Facci riconoscere il male che si insinua in una comunicazione che non crea comunione.
Rendici capaci di togliere il veleno dai nostri giudizi.
Aiutaci a parlare degli altri come di fratelli e sorelle.
Tu sei fedele e degno di fiducia; fa’ che le nostre parole siano semi di bene per il mondo:
dove c’è rumore, fa’ che pratichiamo l’ascolto;
dove c’è confusione, fa’ che ispiriamo armonia;
dove c’è ambiguità, fa’ che portiamo chiarezza;
dove c’è esclusione, fa’ che portiamo condivisione;
dove c’è sensazionalismo, fa’ che usiamo sobrietà;
dove c’è superficialità, fa’ che poniamo interrogativi veri;
dove c’è pregiudizio, fa’ che suscitiamo fiducia;
dove c’è aggressività, fa’ che portiamo rispetto;
dove c’è falsità, fa’ che portiamo verità.
Amen.
Francesco